Difesa sindacale
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Bollettino di coordinamento dei Comunisti Anarchici e Libertari in CGIL n. 27 Novembre 2014
Il Governo Renzi può rappresentare la completa debacle del movimento operaio e delle sue organizzazioni o l’inizio di una nuova fase di resistenza e di ripresa dei margini di manovra per la difesa e il mantenimento dei diritti acquisiti nelle precedenti stagioni di lotte. Occorre passare dalla “letteratura” al conflitto di classe. Dal cosmopolitismo borghese all’internazionalismo proletario
Come da manuale le condizioni materiali amplificano e accelerano i processi di presa di coscienza delle masse, malgrado i convincimenti e le strategie dei ceti dirigenti sia politici che sindacali. Il collateralismo della CGIL al PD sta oramai precipitando. Solo poco più di un mese fa, alla presentazione ed alla successiva messa in fiducia del Jobs Act da parte del governo Renzi , Susanna Camuso ancora dichiarava: “ la verità è che in questa discussione non si capisce dove si vuole andare, cosa si vuole veramente fare” . Con il superamento di fatto di quella che veniva chiamata concertazione, oramai decretata dal Governo Renzi, e con reiterata convinzione da tutti i suoi mentori, ministri e stretti collaboratori, la CGIL è suo malgrado e malgrado i suoi massimi dirigenti, l’unica forza organizzata che può porsi ad argine e a difesa delle condizioni sociali fortemente critiche delle masse lavoratrici e delle nuove generazioni. Per questo dopo la grande manifestazione del 25 ottobre lo sciopero del 12 Dicembre, contro il Jobs Act e la Legge di Stabilità, è un appuntamento fondamentale e significativo della possibile ripresa dell’iniziativa proletaria e della stessa necessaria discussione che occorre iniziare a fare. Al balbettio ancora oggi in voga, dei dirigenti sindacali e politici sulla necessità di una maggiore competitività dei nostri prodotti si impone la cruda realtà: chiusura di siti industriali, riduzione del welfare, condizioni normative e salariali da lavoro servile. O si comincia a ridiscutere seriamente e concretamente di espropri e di come spostare ingenti risorse verso i settori produttivi, verso quei settori che oggi vengono chiamati bene comune ( sanità, trasporti, energia, acqua ed istruzione) o la sconfitta totale e il peggioramento delle condizioni sociali dei lavoratori e delle nuove generazioni è l’orizzonte prossimo. Più di un anno e mezzo fa in un nostro precedente articolo sul Piano del Lavoro proposto dalla CGIL, nello specifico in relazione ad un vasto piano di bonifica e messa in sicurezza del territorio e per la sostenibilità delle reti infrastrutturali, dicevamo: “Sindacalmente parlando ci sembra una possibile soluzione, ma questo significa spostare ingenti risorse economiche dall’appropriazione individuale o di classe verso lavori e settori che oggi chiamiamo bene comune. Significa, cioè, recuperare quel divario, che la stessa relazione evidenzia, fra rendite e profitto a scapito del lavoro e << che ha portato alla riduzione dal 1980 al 2012 di 8 punti di quota di reddito nazionale prima devoluta ai salari>>. Fare concretamente questa scelta significa e non può che significare rilanciare il conflitto nei posti di lavoro”. (1) Economisti mainstream, giornali, televisione, nella loro continua e ripetuta ricetta , ci stordiscono nell’indicare come migliori ed uniche strategie contro la crisi economica internazionale la privatizzazione di tutto; dalla rete dei trasporti e dell’energia, alle telecomunicazioni, dai servizi sanitari, alle municipalizzate, passando dall’istruzione, fino alla previdenza . Il mercato è dogma insuperabile ed auspicabile ed il profitto industriale unica vera stella polare di riferimento. Il pubblico, lo Stato, devono ritirarsi dalla competizione economica, lasciare le briglie del mercato ad una sana e libera lotta di concorrenza degli spiriti imprenditoriali e solo una rinnovata competitività sarà foriera di uno sviluppo progressivo delle sorti dell’umanità. Ma anche in questo caso, dietro il velo ideologico e culturale della classe che detiene il potere, la realtà che si impone è un'altra.. “Decisivo il ruolo dello Stato per agevolare l’acquisizione dell’Ilva di Taranto e garantire un futuro alla siderurgia”(2) Questo è il netto pronunciamento di Antonio Gozzi, Presidente di Federacciai, nel corso dell’audizione alla Commissione Industria del Senato. Il presidente esplicita ancora meglio la sua convinzione nel dichiarare: “Nessuno verrà mai a Taranto a implementare un’Aia (autorizzazione integrata ambientale) che è fuori dai parametri europei, come per la copertura dei parchi, che non c’è in nessuna altra acciaieria e costa 300-340 milioni, una cifra gigantesca:bisogna coprire uno spazio che equivale a cento campi di calcio” Quindi o si modifica l’Aia, tanto a morire di cancro per le polveri dei parchi minerari sono le famiglie dei lavoratori che vivono nel quartiere limitrofo all’acciaieria ed andando incontro ad una possibile ed ulteriore condanna dalla Corte di Giustizia Europea per i ritardi nell'attuazione della disciplina europea(3) o la spesa di tale opera se l’assume lo Stato. Perché, allora, non usare come movimento operaio organizzato tutta la forza e la capacità organizzativa che ancora in parte si mantiene per imporre con la lotta e la mobilitazione questioni di esproprio, per altro costituzionalmente previsti e non organizzare in una nuova e rinnovata militanza una pratica dell’azione diretta? In queste giornate funesti e tristi per le sorti delle nostre città allagate di fango e detriti con morti e lutti annunciati, perché non usare la forza e la presenza territoriale delle Camere del Lavoro per organizzare brigate di lavoratori ( disoccupati, cassaintegrati, in mobilità ecc.) alla messa in sicurezza degli argini ed alla manutenzione dei fossi e dei fiumi che sempre più tracimano e inondando le nostre città? Perché non organizzare Coordinamenti Territoriali di lavoratori per unire le diverse vertenze lavorative ? Perché non chiedere agli architetti ed urbanisti vicini politicamente al movimento operaio inchieste e studi di migliori condizioni abitative e di pianificazione del territorio e delle nostre città? E chiaramente non far rimanere queste acquisizioni e questi dati nei centri studi o nei convegni ma avere la capacità e la volontà di ribaltarli nei territori e farli diventare battaglie reali nei confronti anche delle amministrazioni locali e regionali.. E’ tempo che dalla “letteratura” convegnistica*si passi ad organizzare l’unica forza dei lavoratori che sta nella loro unione e solidarietà e si condizioni, in mutati rapporti di forza, scelte territoriali e nazionali avanzando sempre più la necessità di coordinare il movimento dei lavoratori su un terreno europeo ed internazionale. Al cosmopolitismo della classe padronale occorre rilanciare l’internazionalismo proletario. Cristiano Valente – Filt Cgil NOTE:
Per avere chiaro cosa vogliamo dire passare dalla letteratura convegnistica alla realtà è sufficiente vedere l’ultimo numero di “il lavoro nei trasporti” mensile di informazione, cultura e documentazione, mensile della FILT CGIL - n° 5 del settembre 2014. L’intero mensile è dedicato come numero speciale al 43° Congresso dell’ITF ((International transport workers' federation. La Federazione Internazionale dei Trasporti) che si è svolto a Sofia in Bulgaria dal 10 al 16 agosto 2014. Dopo il saluto alla FILT CGIL, in prima pagina, del Segretario Generale ITF, Steve Cotton, in un articolo del Vice Presidente del Comitato ITF per il Tpl (Trasporto pubblico locale) Maya Schwigerhaisen-Guth si legge; “ITF vuole agire qui! Mobilità per tutti ora! Il trasporto pubblico ha un importante funzione sociale. Esso consente la partecipazione alla vita sociale, ci spinge a scuola e al lavoro. In questo contesto è importante sottolineare il settore come elemento di interesse pubblico che deve rimanere rigorosamente nel settore pubblico e non deve diventare un oggetto di speculazione. La responsabilità e il controllo è garantito meglio attraverso la proprietà pubblica comunale e nazionale piuttosto che con il modello neo-liberale della concorrenza e di proprietà privata a scopo di lucro ….. la progressiva privatizzazione, deregolamentazione e la liberalizzazione dei sistemi di trasporto pubblico deve essere ostacolata, mentre devono essere incoraggiate le rimunicipalizzazioni e la rinazionalizzazine dei sistemi di trasporto pubblico, che già sono stati privatizzati…. Come questa indicazione possa essere in armonia con la strategia complessiva e prassi sindacale della FILT CGIL in Italia è dura a capire. La FILT CGIL in pieno accordo con l’intera Confederazione ha in sostanza avallato tutto il processo di privatizzazione della vecchia Azienda FS con il passaggio nel lontano 1984 all’Ente Ferrovie dello Stato, facendo perdere ai lavoratori lo status di lavoratori pubblici, per arrivare alla SpA del 1992, fino alla attuale configurazione in Holding. Oggi si sta discutendo della messa in Borsa dell’Holding, prevista per il prossimo anno e assolutamente niente di allarmante o di minima presa di distanza da tale ipotesi, arriva dalle strutture nazionali, tanto meno dalle Camere del Lavoro, men che mai nei posti di lavoro. Si sta invece discutendo, in maniera serrata ai livelli dirigenziali e governativi di più e diverse ipotesi:la prima è la quotazione in borsa di una quota di tutta la holding, soluzione preferita da Elia l’attuale a.d. succeduto a Moretti; la seconda prevede la cessione dei soli servizi più remunerativi (le frecce); ultima ipotesi è lo scorporo dal gruppo della sola RFI (società che gestisce la rete infrastrutturale) che rimarrebbe di proprietà statale per poi procedere alla cessione dei singoli restanti “asset” come il servizio AV (le frecce), il servizio passeggeri (nazionale e regionale) o il servizio merci oppure l’intera società Trenitalia. La giustificazione governativa e aziendale a questa ennesima svendita di beni pubblici è sempre la stessa: fare cassa. Questo attacco finale al gruppo FS, giunge al termine di un percorso che ha portato negli anni un peggioramento del servizio ferroviario nazionale in termini di qualità e di costi per i cittadini, diretta conseguenza della liberalizzazione del sistema ferroviario voluta e imposta dalla UE con la direttiva 440/1991 e prontamente recepita nel 1997 con la “societarizzazione” delle ferrovie con la cosi detta Direttiva Prodi, Presidente del Consiglio e riconfermata nel 1997 con la Direttiva D’Alema, Presidente del Consiglio. Ciò che sarebbe necessario sarebbe una tenace resistenza a queste ipotesi ulteriori di privatizzazione e di smembramento della forza dei lavoratori del settore che già ora subiscono il forte attacco alle loro condizioni di vita e normative divisi di fatto nelle diverse società di trasporto. Occorrerebbe passare e praticare convintamente la conclusione del documento della Vice presidente dell’ITF che nel suo intervento in parte sopra riportato afferma: “I nostri colleghi coreani del sindacato dei ferrovieri hanno scioperato 23 giorni di fila lo scorso dicembre contro la disgregazione e la privatizzazione delle ferrovie e per la conservazione dei loro posti di lavoro. Solo insieme siamo forti..” (i corsivi in neretto sono di nostra scelta) http://www.difesasindacale.it/ |
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