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---------------- Difesa Sindacale LA COMPONENTE ANARCHICA
NELLA
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Comunisti Anarchici e Libertari in CGIL n.44 gennaio 2018
70 anni di lotta di classe
Sono passati settanta anni dalla uscita del 1° numero di Difesa Sindacale, 21 Gennaio 1948. Ciò che animava i nostri compagni nella organizzazione del Comitato Nazionale di Difesa Sindacale è ancora oggi per noi di grande riferimento politico ed ideologico ed al contempo di grande attualità nel motivare le ragioni fondamentali della nostra militanza sindacale. Riproponiamo per questo l’articolo di presentazione del primo numero di Difesa Sindacale e successivamente alcuni passi del nostro articolo dell’Aprile 2011 nel quale motivammo le ragioni della nostra scelta di riprendere il filo interrotto di quell’ esperienza organizzativa così feconda e lungimirante per i militanti comunisti libertari all’interno dello scontro di classe Nelle fabbriche, nelle aziende, nei campi e nell'azione diretta dei lavoratori è il solo SINDACALISMO rinnovatore di un mondo privo di Pane, Pace e di Libertà Iniziando la pubblicazione di questo foglio di battaglia, non intendiamo lanciare formule di nuovi partiti o aprire dibattiti scissionistici sulla pratica del sindacalismo o, quel che è peggio, dar vita a movimenti ed organizzazioni suscettibili di prestarsi alla divisione ed al conseguente indebolimento delle forze lavoratrici. Non di questo ha bisogno l’Italia del lavoro, non di nuovi motivi di divergenza e di confusionismo urge l’azione popolare già fin troppo fiaccata dalla polemica politica, dal traffico elettoralistico, dal compromesso governativo, dall’ingerenza statale e dalla strategia politico-militare dei blocchi di nazioni che si contendono il dominio del mondo, in nome di interessi che mai potranno coincidere con quelli dei popoli. PREMESSE IDEALI I popoli hanno bisogno di libertà, di pace, di pane. E ciò essi non potranno ottenere che organizzando la lotta per la conquista dell'autogoverno come produttori, come consumatori, come liberi cittadini. Essi sono chiamati alla gestione effettiva della fabbrica, dell’azienda, della fattoria, della comunità artigiana, della cooperativa in collaborazione con i tecnici e gli uomini d’iniziativa e creando organi di coordinamento ed istituzioni che, partendo direttamente dai luoghi di lavoro, si diramino localmente alla branca, al gruppo produttivo affine e diano quindi vita alla Federazione d’industria che dal locale si estenda al provinciale, al regionale, al nazionale. Nella vita produttiva occorrono attrezzi di lavoro, macchine e materiali da trasformare, col processo lavorativo, in oggetti fabbricati per l’uso collettivo. Non occorre l’azionista. li capitale-danaro non ne è che l'elemento artificioso, speculativo che dà origine al privilegio individuale ed allo sfruttamento conseguente della fatica. Bisogna abolirlo, se vogliamo che lo sforzo produttivo sia unicamente diretto a beneficio della collettività. Sono quindi soltanto gli organi tecnici della produzione quelli qualificati a regolare il lavoro nell’interesse del miglior rendimento, in quantità ed in qualità, col minor sforzo possibile, utilizzando tutti i dati della scienza, dell’esperienza, della libera iniziativa. Un Consiglio Economico, scaturito direttamente dal primo nucleo produttivo, passato quindi attraverso i diversi gradi federativi locali e regionali d’industria e d’agricoltura, sarà l'organo supremo di auto-governo che coordinerà sul terreno nazionale l’iniziativa-locale e ne formerà un tutto armonico, impedirà le disuguaglianze economiche con regioni naturalmente povere ed il sovrapporsi di interessi particolari di categoria. Ecco, quei che noi intendiamo in sintesi per autogoverno dei produttori e che indirizza concretamente la nostra lotta quotidiana volta alla trasformazione radicale della società attuale. Nel campo della distribuzione è inteso che vi debbano presiedere gli stessi principi egualitari: garantire i consumatori contro il bisogno, assicurare a tutti un minimo vitale d’esistenza dignitosa, continuamente accresciuto dallo sviluppo produttivo. L’abbondanza creativa, che oggi è motivo preminente di crisi di sovrapproduzione, di disoccupazione, di espansionismo imperialistico e quindi di guerra, dovrà essere ragione di elevazione del tenore di vita degli uomini. Assicurate le basi economiche dell’esistenza dei lavoratori mediante Io sforzo coordinato di tutti e con l’abolizione del privilegio capitalistico, non è chi non scorga come la libertà degli uomini poggi concretamente su di un terreno che consenta il massimo, sviluppo a tutte le altre libertà che hanno attinenza con i bisogni dello spirito. Scienza, arti, educazione troveranno la via aperta per raggiungere le loro più alte mete, poiché non saranno più inceppate dall’assillo del bisogno che svirilizza o dall'asservimento al privilegio. Il vivere civile sarà regolato dall’autogoverno di multiformi associazioni che faranno capo al Comune, e, federativamente, agli organi direttamente designati dal basso, che esprimeranno la volontà comune per la tutela dei diritti di ognuno nella convivenza collettiva. Liberando il lavoro dallo sfruttamento, il consumo dalla speculazione e dall’ineguaglianza, il vivere civile dal potere politico e di classe, noi avremo così realizzata la libertà economica, che è uguaglianza di diritti, e la libertà del pensiero che è l'insopprimibile diritto umano. NATURA DEL COMITATO NAZIONALE DI DIFESA SINDACALE Partendo dall’imperiosa necessità dell’unione di tutte le forze del lavoro, manuale ed intellettuale, il Comitato Nazionale di Difesa Sindacale non vuol essere un’organizzazione concorrente della C.G.I.L., non vuol tradursi in motivo di divisione fra i lavoratori. Nella particolare situazione dell’ Italia, dove rimane sempre latente il pericolo di un ritorno a regimi di forza e retrivi; dove 25 anni di fascismo e di dittatura hanno scavato un solco profondo nelle facoltà critiche e di libero esame degli italiani; dove una colpevole politica di compromesso governativo da parte dei partiti di sinistra ha permesso il ricostituirsi delle forze d’intrigo delle vecchie consorterie conservatrici, all’ombra delle quali tendono a rifornarsi i quadri politici e sindacali del passato regime: in tale situazione, diciamo, la creazione di organismi scissionistici va ad esclusivo beneficio della reazione anche se giustificati da salde ragioni ideologiche e tattiche. I tentativi più recenti fatti per rompere l’unità dei lavoratori in seno alla C.G.I.L. sono venuti unicamente dalle forze di destra: democristiani e scorie del vecchio corporativismo fascista, con quelle riunite qualche mese fa a congresso a Napoli, che hanno per solo scopo di indebolire la resistenza dei lavoratori contro lo spirito offensivo del padronato e di togliere ogni vigore di lotta di classe al sindacalismo. Noi non vogliamo seguire questa strada, almeno fino a quando alla base non si manifesterà negli stessi Sindacati di categoria una precisa volontà in questo senso. Il Comitato Nazionale di Difesa Sindacale vuol operare ed espandersi sui luoghi stessi di lavoro; vuol creare i suoi nuclei nella fabbrica, nel cantiere, nel campo, ovunque si verifichi un’attività lavorativa associata. Ed in ognuno di questi gangli vitali della produzione sorgerà un Comitato di Difesa sindacale che animerà ed indirizzerà l’attività sindacale dei lavoratori, ne sarà il portavoce più diretto nell’azione dentro e fuori della fabbrica, nel Sindacato di categoria, nella Camera del Lavoro. COMPITI DEI COMITATI DI DIFESA SINDACALE I Comitati di Difesa sindacale denunciano le influenze politiche che si manifestano nei Sindacati. Esse dividono i lavoratori in modo più grave che dando vita ad organismi dissidenti perché trasportano nella fabbrica stessa, oltre che nel Sindacato, le lotte di partito, lo spirito di fazione, la ubbidienza a parole d’ordine che risalgono ad interessi esclusivi di partito, di governo, di Stato. Il Sindacato finisce così per essere governato dall’alto, costituisce una massa di manovra elettoralistica al servizio di una determinata politica di governo o di Stato. Questo è un fenomeno comune sia al sindacalismo degli Stati fortemente autoritari come la Russia o la Germania e l’Italia d’ieri, sia di quelli retti da illusorie forme di socialismo statale come l’Inghilterra od a sedicente democrazia come la plutocratica America. I Comitati di Difesa sindacale si richiamano alle origini del sindacalismo di classe nato in Italia tre quarti di secolo fa col nome glorioso dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori (I° Internazionale) e che pone di fronte gli sfruttati contro i detentori del capitale e della ricchezza, in lotta aperta e diretta. Quali siano le rivendicazioni che i Connati di Difesa propongono ai lavoratori per condurre questa battaglia di tutti i giorni, per la conquista del pane e per preparare un migliore avvenire, diremo in sintesi più oltre. Quel che importa affermare qui è che i C.D.S. intendono giungere ad un’effettiva unità dei lavoratori sottraendo il Sindacato alla influenza di partiti, di ideologie, di confessioni diverse e, soprattutto, a quelle di governi e di Stati. Eliminazione quindi del funzionarismo, delle nomine dall’alito, delle designazioni di partito. I rappresentanti sindacali, le Commissioni interne e tutti gli organi sindacali devono rispecchiare fedelmente la volontà dei lavoratori, espressa attraverso libere assemblee e con elezione diretta. Questo è il senso che noi diamo all'abusato vocabolo « democrazia » che verrà man mano volgarizzato dal contenuto del nostro giornale. RIVENDICAZIONI ATTUALI DEI COMITATI DI DIFESA SINDACALE Quali siano le finalità che si propongono raggiungere i C.D.S. affiliati al Comitato Nazionale, abbiamo detto all’inizio: conquistare la libertà sul terreno economico perché non siano illusorie le altre libertà, sociali e spirituali. Su questo terreno della libertà integrale e coordinata nessuno potrà opporre fondate ragioni di dissenso che non siano il frutto di egoistiche mire di interesse personale o di sete di dominio. Non si tratta quindi di sostituire un’ideologia ad un’altra e di dichiararsene i sostenitori. A questa guisa, anche noi porteremo in seno ai Sindacati, fra i lavoratori, il germe malefico della divisione che deprechiamo negli altri. Quando si dice libertà si enuncia un principio, ma si afferma un diritto incontrovertibile che nasce con la vita umana per estendersi a tutta la comunità degli uomini. E’, quindi, un principio unitario che interessa tutti allo stesso modo. Subordinare la nostra azione quotidiana ai raggiungimento di tale fine è incamminarci decisamente verso la nostra liberazione dal bisogno, dall’oppressione, dalla guerra. Le rivendicazioni immediate a cui vogliamo chiamare i lavoratori attraverso l’opera dei C.D.S. si possono riassumere seguenti punti: 1° Lotta contro la disoccupazione a mezzo della progressiva riduzione della giornata lavorativa e della qualificazione professionale. Riducendo la prestazione giornaliera a SEI ORE, con salario vitale, i 2 milioni di disoccupati di cui soffre l’Italia verrebbero prontamente assorbiti, poiché un lavoratore su tre, almeno, potrebbe trovare immediate possibilità di impiego. Il consumo interno ne sarebbe automaticamente rinvigorito per l’ accrescimento del potere d’acquisto delle masse al lavoro. Lo sviluppo della qualificazione professionale abiliterebbe un gran numero di giovani oggi senza specializzazione ed il rendimento qualitativo troverebbe facile collocamento anche nell’esportazione. 2° Costituzione dai CONSIGLI DI GESTIONE ESECUTIVI, formati di soli lavoratori e tecnici, in tutte le fabbriche e fattorie, col compito preciso di impedire i licenziamenti, di imporre l’abolizione dei cottimi, di istituire la giornata lavorativa di sei ore e di studiarne l’applicazione pratica. 3° Lotta conio la sperequazione fra prezzi e salari, con la denuncia della produzione e la fissazione dei costi effettivi da parte dei Consigli di gestione inseriti in tutto il processo produttivo. Ogni altra forma di lotta per l’adeguamento dei prezzi alle retribuzioni si rivelerebbe vana. 4° Lotta per dare un'abitazione dignitosa ai senza tetto. Occupazione di case inabitate e coabitazione in case inadeguatamente abitate. In mancanza di ciò, forte tassazione dei proprietari di palazzi e ville signorili perché provvedano i capitali necessari alla fabbricazione di case popolari. Forti prelevamenti anche sugli appartamenti condominiali, allo stesso scopo. 5° Lotta contro la guerra e le spese militari. Esigere lo scioglimento dell’esercito e proclamare la nazione non combattente. Devolvere le somme stanziate per la sistemazione dei pensionati e trasformare le costruzioni militari in stabilimenti di utilità pubblica. A questi compiti immediati e lontani vi chiamano, o lavoratori, i Comitati di Difesa sindacale costituiti e da costituirsi in ogni luogo di lavoro. Il giornale che vede la luce in questo momento criticissimo della nostra istoria se ne farà lo strenuo banditore, senza mira interessate di persone o di partito, al servizio esclusivo dei lavoratori, per una umanità migliore. A voi di sostenerci nella buona battaglia, che è la vostra, fino alla vittoria. (Difesa Sindacale 21/Gennaio, 1948)
Perché “Difesa
Sindacale” Riprendere oggi il nome Difesa Sindacale come nostro strumento di coordinamento ha il significato di volerci collegare al solco storico dei compagni anarchici italiani che, all’indomani
del secondo conflitto mondiale, scelsero convintamente
di collocarsi all’interno della rinata
CGIL. Già nell'imminenza della caduta del fascismo, gli anarchici confinati a Ventotene discutono sul che fare, in particolar modo rispetto all'azione nelle masse proletarie e approvano una importante risoluzione che invita i compagni: “ad iscriversi nei sindacati di mestiere e di professione, per avere uno stretto contatto con le masse lavoratrici, indirizzando queste nella lotta veramente rivoluzionaria, per la conquista delle rivendicazioni proletarie, propagandando l'ordinamento libertario per la costituzione dei Consigli di Fabbrica, di azienda, d'industria nel campo produttivo” ..Tale posizione viene ufficializzata al primo congresso della FAI ( Federazione Anarchica Italiana), tenuto a Carrara nel settembre del '45 che decide di costituire un Comitato Sindacale atto a coordinare l'opera dei già esistenti Gruppi di Difesa Sindacale. I congressisti infatti deliberano: “… di partecipare attivamente alle lotte operaie, pur sapendo che queste non esauriscono il nostro compito; per rendere più efficace questo lavoro ritengono
indispensabile la costituzione di un Comitato
Sindacale di coordinazione che colleghi l’opera
dei Gruppi di Difesa Sindacale già esistenti
e ne promuova l’ampliamento e la diffusione. lavoratori, attraverso la libera elezione e la revocabilità di tutte le cariche sindacali; nella certezza che la libera volontà dei lavoratori stessi non potrà non esprimersi se non nel senso di realizzare l’effettiva unità rivoluzionaria dei lavoratori, alfine ultimo dell’abbattimento del regime capitalista che ha nello Stato il proprio naturale presidio” Si forma così la corrente anarchica di difesa sindacale, che al I° Congresso nazionale della nuova CGIL scaturita dal “Patto di Roma”, otterrà l'elezione di un proprio rappresentante nel Comitato Direttivo nazionale della CGIL, Attilio Sassi, segretario nazionale del Sindacato Minatori e Cavatori e del sindacato lavoratori all'estero. Gli elementi politici che caratterizzano la corrente anarchica nelle sue iniziative di dibattito e di lotta sono la convinzione che l'unità della classe lavoratrice nel sindacato unitario è l'elemento essenziale della lotta rivoluzionaria e di classe e che questa unità per essere fattiva deve essere emanazione diretta della base lavoratrice. E’ su queste direttive che si ribadisce l'adesione alla CGIL, per liberarla dalle negative influenze partitiche, contro i Consigli di Gestione, denunciati come organi di collaborazione con il capitale, propagandando parallelamente la costituzione dei Consigli di Fabbrica concepiti come organismi antagonisti al padronato. Il primo convegno nazionale dei Comitati di Difesa Sindacale si tiene a Genova Sestri il 5/6 maggio 1946. Sono presenti i delegati dei seguenti comitati: Milano. Novara, Brescia, Torino, Carrara, Livorno, Roma, Civitavecchia, Napoli, La Spezia, Savona . Hanno inviato adesione scritta i comitati di Cagliai, Iglesias, Trapani, Palermo, Foggia, Canosa, Ferrara, Firenze, Cremona, Trieste, Voghera, Venezia. Nelle risoluzioni finali si legge: “....Constatato: che l’unità della classe lavoratrice nei sindacati permane l’elemento essenziale della lotta rivoluzionaria e di classe. Chiaro essendo che questa unità deve essere attiva e fattiva deve essere emanazione della base cioè dei lavoratori nelle fabbriche, nei campi, nelle miniere, nei cantieri ecc. e non dei rappresentanti dei partiti sia di destra che di sinistra. (i CDS)…decidono di continuare per questa via mantenendo la loro adesione alla CGIL e di accentuare l’iniziativa dei gruppi di Difesa Sindacale ,…. Contro i consigli di gestione ritenuti organi di collaborazione e non rappresentanti altro che una vecchia illusione. Si impegnano all’attivazione dei consigli di fabbrica e fattoria, organi che debbono coordinare gli sforzi dei lavoratori tesi all’abbattimento del capitalismo ed assumere gli oneri della gestione diretta della fabbrica …. Agitare l’applicazione della giornata lavorativa a sei ore, per l’abolizione dei cottimi e la retribuzione mensile sufficiente per tutti i lavoratori, in un’ottica di solidarietà verso i disoccupati e i reduci senza lavoro …. La sede del comitato nazionale viene stabilita a Genova Sestri e si lancia una proposta per un periodico settimanale su problemi sindacali.” Nel secondo convegno nazionale dei Comitati di Difesa Sindacale tenuto sempre a Genova Sestri nell’agosto del ‘47 si afferma: “Nei confronti della CGIL raccomanda agli aderenti ai Comitati di Difesa Sindacale di accettare gli incarichi sindacali alla condizione che questi risultino affidati mediante elezioni dirette da parte della massa e denuncia il sistema elettivo adottato attualmente dalla CGIL sulla attribuzione delle cariche sindacali in base a liste bloccate dei partiti politici, sistema che i CDS respingono perché non rispondente ai principi sopra indicati” …… i compagni di Difesa Sindacale rimasero attivi all’interno della CGIL fin quasi gli anni ‘60 e in occasione del IV congresso della CGIL (27/2-4/3/1956- Roma) in una loro lunga dichiarazione riconfermeranno le loro posizioni: “E’ estremamente dannosa la tendenza a controllare politicamente l’organizzazione, a legarla meccanicamente alle campagne politiche dell’opposizione parlamentare …. E’ prassi normale che il partito (o l’interpartito) si prenda non pochi dei migliori quadri intermedi forgiati dal sindacato e inserisca negli organismi direttivi del sindacato i suoi quadri politici privi di esperienza sindacale … Il problema della democrazia sindacale è dunque alla base di ogni rafforzamento organizzativo. Ma occorre una democrazia che non sia soltanto formale; che consista nel rapporto organico base- dirigenti ; che veda la partecipazione della base alla decisione, alla formulazione e alla revisione dell’indirizzo dell’organizzazione ….. Chiediamo che nella elaborazione dei programmi si tenga conto delle reali condizioni politiche economiche esaminate; che essi non siano viziati dall’attesismo benevolo verso un preteso governo di transizione, o dal possibilismo di una diversiva offerta di collaborazione” Nonostante la profonda capacità analitica (si pensi quanto ancora oggi sia in uso l’inserimento di quadri politici nel sindacato o viceversa da questo verso strutture amministrative comunali o provinciali e quanto ancora nello stesso linguaggio interno al sindacato ci si riferisca ad un presunto “governo amico”) i problemi che accennavamo fanno si che tale esperienza di fatto si interrompa e sarà solo la ripresa delle lotte operaie e giovanili, oltre un decennio dopo la dichiarazione che abbiamo visto, che porterà nuovi nuclei di giovani compagni comunisti libertari ed anarchici a porsi nuovamente e concretamente la necessità di un lavoro organizzato e finalizzato all’interno della classe operaia e nelle strutture sindacali della CGIL che assumerà in quegli anni la struttura di resistenza in cui la classe si riconoscerà in
termine maggioritari. e libertari nella CGIL convinti ancor più, anche dalle nostre esperienze sindacali che: “…. per abbattere il governo ed abbatterlo a scopo di emancipazione generale, bisogna avere con noi quanta più massa, è possibile, ed una massa quanto più e possibile cosciente dello scopo per cui si deve fare la rivoluzione. E la massa. non viene alle idee anarchiche così di botto, senza un tirocinio più o meno graduale. Bisogna dunque entrare, in contatto colla massa, per sospingerla avanti ed averla con noi in piazza nei giorni della lotta, risolutiva. Le organizzazioni economiche ci sembrano uno dei mezzi migliori di cui disponiamo” (E. Malatesta “Gli anarchici e le leghe operaie” in Volontà del 20 sett. 1913) E concludendo: “ Per queste ragioni …..gli anarchici debbano restare, naturalmente quando è possibile restarvi con dignità e indipendenza, nelle organizzazioni tali quali sono per lavorarvi dentro e cercare di spingerle il più avanti possibile, pronti a servirsi, nei momenti critici della storia, dell'influenza che possono avervi acquistata per trasformarle repentinamente da modeste armi di difesa in potenti strumenti di assalto. E questo, si intende bene, senza trascurare il movimento proprio, il movimento d'idee, che è l'essenziale, e dal quale tutto il resto deve servire di mezzo e di strumento”. ( E. Malatesta – “Movimento operaio e anarchismo” in Pensiero e Volontà del 16 dic. 1925)
Cgil: tra elezioni e congresso
Democrazia sindacale e reinsediamento nei posti di lavoro La scadenza elettorale e il successivo periodo di assemblee congressuali rappresentano un momento di grande rilevanza per la Confederazione. Entrambe le scadenze interrogano le scelte fin qui fatte dall'Organizzazione e quelle che dovranno essere messe in campo nei prossimi mesi ed anni. Una prima necessaria analisi dovrà partire dallo stato di salute delle categorie e delle Camere del Lavoro. Fotografia della forza organizzativa che non può limitarsi al semplice conteggio dei lavoratori iscritti che, pur rimanendo un indice insostituibile, se assunto astrattamente senza collegarlo al peso reale che il sindacato riesce ad avere nella società, rischia di farci perdere il senso della stessa iniziativa sindacale. Quando la crescita numerica degli iscritti è accompagnata da una crescente sfiducia nel ruolo di tutela collettiva dei lavoratori siamo evidentemente di fronte ad una contraddizione che non può essere ignorata. Sono oramai diversi anni che le nuove adesioni al sindacato avvengono nella grande maggioranza attraverso il sistema dei servizi delle Camere del lavoro, cioè attraverso un meccanismo di tutela individuale come nel caso delle iscrizioni che avvengono tramite gli uffici legali, o attraverso i patronati per l'assistenza alle pratiche di invalidità, 104, assegni familiari, malattie professionali ed altro, oppure attraverso i servizi di natura fiscale, dichiarazione dei redditi, red, ise, isee ecc… La costatazione di questa realtà, che testimonia il mutamento profondo subito dall’organizzazione sindacale nella sua accezione più ampia, da struttura di conflitto, contrattazione e tutela collettiva a sistema di servizi, dovrebbe far riflettere sulla necessità di aprire una lunga stagione di reinsediamento sui posti di lavoro e sulla necessità di far diventare le Camere del Lavoro luogo di socializzazione non solo delle categorie, ma luogo aperto di incontro, di cultura e di rappresentanza di tutte quelle realtà sociali che subiscono più di altre la disarticolazione del mondo del lavoro: disoccupati, precari, badanti, immigrati. Sperimentando anche forme autonome di organizzazione di queste realtà in rapporto non burocratico con la confederazione. In termini organizzativi significa investire significativi importi finanziari sui delegati e sulle strutture territoriali, dare priorità all'intervento quotidiano di informazione, attivare distacchi sindacali semestrali su progetti specifici di reinsediamento, ripensare complessivamente al il funzionariato per favorire una costante alternanza tra lavoro e attività sindacale, riequilibrare verso il basso le risorse. La centralità che oggi ha assunto il sistema dei servizi deve essere considerata un'anomalia congiunturale da superare, superamento che dovrà avvenire non con un ridimensionamento di questi servizi, ma con l'attivazione di quei percorsi virtuosi appena abbozzati che dovranno riequilibrare le funzioni ridando ai servizi quel ruolo indispensabile di supporto. É evidente che non si tratta di semplici scelte organizzative-finanziarie, ma più in generale di definire i processi democratici di partecipazione e di decisione. Quando si ha la percezione che tutto sia stato già deciso in istanze lontane dal posto di lavoro, quando i lavoratori sono chiamati a condividere scelte che non hanno discusso né hanno avuto l'opportunità di fare obiezioni, correzioni e/o integrazioni, si rimane magari iscritti al sindacato per i servizi che offre, ma non si ha alcuna fiducia in esso. La democrazia sindacale non è semplice forma e non bastano alchimie organizzative, come l'assemblea generale, per dargli sostanza. Allargare la platea dei direttivi una o due volte l'anno con lavoratori del tutto esterni a qualsiasi dibattito sindacale appare opera di pura demagogia che nulla cambia circa la necessità di processi democratici reali. Oggi la Cgil ha una struttura democratica piramidale che anziché poggiare sulla larga base, poggia sul vertice. Le modifiche statutarie introdotte al XVI° Congresso hanno modificato l'art. 16 che disciplina i compiti del comitato direttivo della CGIL. Al di là di una riformulazione formale dell'articolo rispetto al precedente, tale concezione verticistica è inserita con la seguente frase: “Al solo Comitato Direttivo della CGIL nazionale è affidato, altresì, il compito di deliberare sulle piattaforme e sugli accordi interconfederali”. Ciò significa che il direttivo confederale decide e a caduta tutta l'organizzazione ne prende atto, e, spesso, nella pratica reale di questi anni, importanti scelte confederali non passano nemmeno alla ratifica dei direttivi territoriali. Viene così meno quel meccanismo indispensabile di discussione, critica, contributi, che solo può determinare fiducia nel proprio sindacato; la disaffezione è il risultato, l'abbandono può essere conseguenziale. Elezioni In questi anni in cui il solco tra Cgil e Pd si è ulteriormente divaricato, il problema di avere una sponda politica di riferimento ha alimentato spesso gli interventi di quanti, in misura più o meno accentuata, sono rimasti orfani di questo solido legame che aveva contrassegnato la storia della confederazione nel secolo trascorso. Un solco che non necessariamente ha significato cesura, anche se in questa occasione non abbiamo assistito a quella osmosi tra sindacato e partito che si verificava con rituale puntualità fino a pochi anni fa. Se da un lato è aumentata la distanza tra chi fa sindacato e il partito, a prevalere non è una rivisitazione critica dell'esperienza passata, quanto invece una riproposizione acritica di personaggi politici e sindacali che in larga misura sono stati responsabili della deriva liberista della sinistra e dello stesso sindacato. Gli stessi settori della sinistra di classe variamente presenti in Cgil, forse con maggior enfasi del resto dell'organizzazione, pongono il problema della rappresentanza politica istituzionale dei lavoratori. La difficoltà di organizzare i lavoratori, di rappresentare i giovani e i precari, di portare alla militanza sindacale la classe operaia immigrata è un dato di fatto largamente condiviso nella Cgil, ma a questa realtà si reagisce imputando a questi stessi soggetti le responsabilità, affogando i ragionamenti nella retorica dell'assenza dei valori dei giovani, nell'egoismo e individualismo degli stessi lavoratori e mai interrogandosi sulle responsabilità che la deriva liberista, che ha travolto la sinistra e il sindacato a partire con maggiore virulenza dagli anni ottanta del novecento, ha avuto sulla formazione del senso comune. Queste problematiche dovrebbero sollecitare quella che abbiamo definito una strategia di reinsediamento per provare a cambiare i rapporti di forza a partire dai luoghi di lavoro. Sono anni che a fronte di un sistematico smantellamento del sistema dei diritti e delle tutele la risposta si limita ad una debole critica e nella migliore ipotesi ad evocare interventi di attenuazione e di aggiustamento parziale. É stato così con l'attacco al Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl), del quale si mantiene il solo riconoscimento formale; con l'art. 18 si sono accettate modifiche le quali, ritenute parziali, hanno spianando di fatto la sua cancellazione da parte del governo Renzi; con le pensioni accettando sull'altare dello spread la devastante controriforma Fornero. Con deboli proteste formali si è subito l'abolizione della norma che impediva i controlli a distanza, ed oggi ci si dice scandalizzati rispetto ai braccialetti di Amazon; nel silenzio pressoché totale si è fatta passare l'abolizione della norma che impediva il demansionamento,ed oggi questo in molte aziende è usato come arma politica per colpire i lavoratori non inquadrati e i delegati più combattivi. Quello che si prospetta è un cammino pieno di ostacoli che richiedono forza, volontà, convinzione, e soprattutto fiducia nella possibilità che i lavoratori, le lavoratrici, i precari, i disoccupati, i pensionati possano attraverso un conflitto sindacale e sociale, indirizzato su obiettivi unificanti, invertire la tendenza in atto.
Su questi obiettivi si costruisce l’unità sindacale e l'autonomia reale del sindacato dalla politica e dalle istituzioni, sottraendosi a quello strabismo che evita di affrontare questi ostacoli e pensa di poter risolvere i problemi dei lavoratori affidandosi al parlamentarismo. Noi, comunisti anarchici, non contribuiamo a diffondere illusioni, “Non di questo ha bisogno l’Italia del lavoro, non di nuovi motivi di divergenza e di confusionismo, urge l’azione popolare già fin troppo fiaccata dalla polemica politica, dal traffico elettoralistico, dal compromesso governativo, dall’ingerenza statale e dalla strategia politico-militare dei blocchi di nazioni che si contendono il dominio del mondo, in nome di interessi che mai potranno coincidere con quelli dei popoli”1, noi confidiamo nella forza e nella volontà degli sfruttati, ed è per questo che nel nostro agire in Cgil ci concepiamo come una componente storica del movimento operaio e sindacale italiano, per la sua autonomia dai partiti politici, dai governi e dallo stato.
Difesa Sindacale
www.difesasindacale.it 1Difesa Sindacale n.1 Gennaio 1948
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