Comunisti
Anarchici e Libertari in CGIL n. 45 Aprile
2018
XVIII° Congresso
CGIL
I comunisti
anarchici ieri come oggi lavorano per l'unità dei
lavoratori, per un sindacato autonomo dallo
Stato, dalle istituzioni, dai partiti, per
un sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori,
contro il funzionariato e la burocrazia,
per un sindacato che abbia chiara l'inconciliabilità di
interessi tra capitale e lavoro, per un sindacato
che trova le soluzioni nella determinazione
del conflitto.
Con la predisposizione
della traccia di discussione per le Assemblee
Generali “Il Lavoro E’”, d’ora
in poi “traccia”, si apre
ufficialmente la fase di confronto nell'organizzazione
che proseguirà con le assemblee di base,
i successivi congressi categoriali ai vari
livelli e a fine anno, con il congresso confederale.
Un congresso
che perlomeno nella forma si presenta con una
sostanziale novità rispetto al tradizionale
modo di preparazione congressuale.
Il Comitato
direttivo Confederale non ha, deliberatamente,
licenziato un documento di tesi congressuali
da sottoporre alle assemblee di base, ma con
la predisposizione della traccia avvia una
fase di confronto nelle strutture dell'organizzazione,
con l'obiettivo di raccogliere i contributi
che da questa discussione arriveranno e sulla
base di questo percorso elaborare il documento
che sarà portato alla votazione nelle
asssemblee di base.
La generale
positività di questo nuovo metodo è però incrinata
dalla sua estrema farraginosità e dalla
conseguente discrezionalità nel valutare
i contributi; non possiamo poi nascondere lo
scettiscismo che attraversa molti ambiti dell'organizzazione,
che sono consapevoli della distanza che esiste
tra le enunciazioni di partecipazione e democrazia
e la prassi verticistica ormai consolidata
nella formazione della linea e delle decisioni,
che inizia e finisce nelle stanze della segreteria
nazionale.
Emblematico
al riguardo l'ultimo accordo del 28 febbraio
2018 con Confindustria sulla Contrattazione,
accordo che non ha visto né la partecipazione
dei lavoratori, né quella delle strutture
intermedie e periferiche dell’ organizzazione;
nonostante più volte la Cgil abbia sostenuto
la necessità del voto dei lavoratri
questo “Patto della Fabbrica”, come è stato
denominato, è stato sottoscritto dal
gruppo dirigente confederale nel più assoluto
e ricercato isolamento.
Eppure in questo
documento si definiscono aspetti strategici
della contrattazione. Dai due livelli di contrattazione
nazionale e articolata, al recupero salariale
che si lega definitivamente alle sole dinamiche
della produttvità aziendale, includendo
e rilegittimando l'inserimento di istituti
di welfare aziendale nel computo del costo
contrattuale, nonostante le non poche riserve
espresse nell'organizzazione solo in questi
ultimi mesi.
Scompare la
parte sugli scioperi unitamente alle sanzioni
da comminare in caso di mancato rispetto della
normativa: sanzioni già previste dal “Testo
Unico sulla rappresentanza” del
gennaio 2014, sottoscritto dalla stessa CGIL.
E’ questo
un aspetto positivo, che però invita
a riflettere sul modello di discussione ed
elaborazione che passa tra i quadri intermedi
della nostra organizzazione: in quella occasione
fatto salva l'opposizione della Fiom che, alla
luce dei successivi riallineamenti appare essere
stata più una contrapposizione tra “leadership” che
tra contenuti: infatti l'apparato si schierò a
difesa delle sanzioni previste dal T.U., dimostrando
ancora una volta la burocratizzazione dell'organizzazione
secondo il dettato che “quello che
viene dal centro non si discute, ma si applica”.
Infine nell'accordo
si introduce il concetto di partecipazione
favorendo “un sistema di relazioni
industriali più flessibile che incoraggi,
soprattutto, attraverso l'estensione della
contrattazione di secondo livello, quei processi
di cambiamento culturale capaci di accrescere
nelle imprese le forme e gli strumenti della
partecipazione organizzativa.”
Si prosegue
poi avallando l'idea che lavoratore e padrone
abbiano un comune interesse nell'azienda: “I
cambiamenti economici, richiedono coinvolgimento
e partecipazioone e determinano una diversa
relazione tra impresa e lavoratrici e lavoratori.”
Ma ancor di
più si delinea e si consolida un terreno
di cogestione che rimanda alle peggiori stagioni
della concertazione: “Confindustria
e CGIL,CISL, UIL considerano, altresì,
un'opportunità la valorizzazione di
forme di partecipazione nei processi di definizione
degli indirizzi strategici dell'impresa”.
Il richiamo
a questo accordo è oltremodo necessario
in quanto in esso sono definiti aspetti strategici
che avrebbero richiesto di estendere la discussione
e il confronto tutta l’organizzazione,
ed il luogo e il tempo doveva essere quello
del congresso e non il gruppo dirigente confederale.
Democrazia
sindacale
Il
medesimo percorso ha caratterizzato l’intera
vicenda contrattuale della Pubblica Amministrazione
che è stata subordinata a due obiettivi
politici interni al gruppo dirigente confederale
a totale discapito dei contenuti contrattuali:
si è deciso
di dividere il percorso contrattuale in
varie fasi a partire dall’accordo
quadro del 30/11/2016, fino alla firma
in successione delle rispettive intese
categoriali, sia per scoraggiare ogni forma
di mobilitazione unitaria sia per escludere
ogni la partecipazione delle lavoratrici
e dei lavoratori all’elaborazione
delle piattaforme, quale tributo all’unità con
il gruppo dirigente della CISL;
-
questa scelta
di chiudere i contratti della PA è stata
deliberatamente perseguita anche in vista
del prossimo XVIII congresso, proprio al
fine di rafforzare eventuali candidature
alla successione della Camusso, visto che
altri probabili concorrenti i propri contratti
li avevano già chiusi.
Appare così evidente,
alla luce di quanto sopra, che esiste un problema
di democrazia sindacale, sia nella vita dell'organizzazione
che nel rapporto con le lavoratrici e i lavoratori.
É evidente
che non si tratta di semplici scelte organizzative,
ma più in generale di definire i processi
democratici di partecipazione e di decisione.
Quando si ha
la percezione che tutto sia stato già deciso
in istanze lontane dal posto di lavoro, quando
i lavoratori sono chiamati a condividere scelte
che non hanno discusso né hanno avuto
l'opportunità di fare obiezioni, correzioni
e/o integrazioni, si rimane magari iscritti
al sindacato per i servizi che offre, ma non
si ha alcuna fiducia in esso: le ultime elezioni
delle RSU nella Pubblica Amministrazione dimostrano
infatti diffuse criticità e arretramenti,
specialmente nella scuola e nella sanità,
con un aumento talvolta significativo delle
liste del sindacalismo di base.
La democrazia
sindacale non è una semplice questione
di forma e non bastano di certo alchimie organizzative
come “l'assemblea generale”, per
conferire sostanza e credibilità. Allargare
la platea dei direttivi una o due volte l'anno
a lavoratrici e lavoratori del tutto esterni
a qualsiasi dibattito sindacale appare un’opera
di pura demagogia che nulla cambia circa la
necessità di processi democratici reali.
Oggi la Cgil
ha una struttura piramidale la quale, anziché poggiare
sulla larga base, poggia sul vertice.
Le modifiche
statutarie introdotte al XVI° Congresso
hanno modificato l'art. 16 che disciplina i
compiti del comitato direttivo della CGIL.
Al di là della rimodulazione di questo
nuovo articolo rispetto al precedente, permane
una concezione verticistica inserita con la
seguente frase: “Al solo Comitato
Direttivo della CGIL nazionale è affidato,
altresì, il compito di deliberare sulle
piattaforme e sugli accordi interconfederali”.
Ciò significa
che il direttivo confederale decide, e a caduta
tutta l'organizzazione ne prende atto, e, spesso,
nella pratica reale di questi anni, importanti
scelte confederali non passano nemmeno alla
ratifica dei direttivi territoriali. Viene
così meno quell’indispensabile
meccanismo di discussione critica, capace di
determinare fiducia nel proprio sindacato:
la disaffezione è il risultato finale
di questo processo e l'abbandono può essere
conseguenziale.
Il congresso
ha il compito di ripristinare una prassi autenticamente
democratica e partecipativa al di là dei
formalismi, ridando ruolo e voce negli ambiti
decisionali alle delegate e ai delegati, alle
lavoratrici e ai lavoratori, specialmente nell’elaborazione
e nella gestione delle piattaforme contrattuali
e delle relative trattative, che devono quindi
essere sottoposte al controllo della base.
Lo stato
di salute della CGIL
L'approccio
formale e burocratico è quello che sembra
prevalere anche nell'analisi dello stato di
salute dell'organizzazione.
La fotografia
della forza organizzativa non può limitarsi
al semplice conteggio dei lavoratori iscritti
dato che, pur rimanendo un indice insostituibile,
se assunto astrattamente senza collegarlo al
peso reale che il sindacato riesce ad avere
nella società, rischia di farci perdere
il senso della stessa iniziativa sindacale.
Quando la crescita
numerica degli iscritti è accompagnata
da una crescente sfiducia nel ruolo di tutela
collettiva dei lavoratori siamo evidentemente
di fronte ad una contraddizione che non può essere
ignorata.
Sono oramai
diversi anni che le nuove adesioni al sindacato
avvengono nella grande maggioranza attraverso
il sistema dei servizi delle Camere del lavoro,
cioè attraverso un meccanismo di tutela
individuale come nel caso delle iscrizioni
che avvengono tramite gli uffici legali, o
attraverso i patronati per l'assistenza alle
pratiche di invalidità, 104, assegni
familiari, malattie professionali ed altro,
oppure attraverso i servizi di natura fiscale,
dichiarazione dei redditi, red, ise, isee ecc…
La costatazione
di questa realtà, che testimonia il
mutamento profondo subito dall’organizzazione
sindacale da struttura di conflitto, contrattazione
e tutela collettiva a sistema di servizi, dovrebbe
far riflettere sulla necessità di aprire
una lunga stagione di reinsediamento sui posti
di lavoro e sulla necessità di far diventare
le Camere del Lavoro luogo di socializzazione
territoriale: non solo cioè delle categorie,
ma luogo aperto di incontro, di cultura e di
rappresentanza di tutte quelle realtà sociali
che subiscono più di altre la disarticolazione
del mondo del lavoro: disoccupati, precari,
badanti, immigrati. Sperimentando anche forme
autonome di organizzazione di queste realtà in
rapporto non burocratico con la confederazione.
In termini organizzativi
significa investire significativi importi finanziari
sui delegati e sulle strutture territoriali;
dare priorità all'intervento quotidiano
di informazione e formazione; attivare distacchi
sindacali semestrali su progetti specifici
di reinsediamento; ripensare complessivamente
il funzionariato per favorire una costante
alternanza tra lavoro e attività sindacale;
riequilibrare verso il basso le risorse.
La centralità che
oggi ha assunto il sistema dei servizi deve
essere considerata un'anomalia congiunturale
da superare, superamento che dovrà avvenire
non con un ridimensionamento di questi servizi,
ma con l'attivazione di quei percorsi virtuosi
appena accennati che dovranno riequilibrare
le funzioni ridando ai servizi quel ruolo indispensabile
di supporto.
Un nuovo
modello di sindacato
Fare attività sindacale
costa e questi costi, se mal finalizzati, possono
divenire insostenibili.
Per questo motivo
la CGIL deve concretamente fare affidamento
al proprio patrimonio militante diminuendo
drasticamente il numero dei distaccati a vita,
e su questo aspetto è necessario esprimersi
in modo chiaro: almeno per quello che riguarda
le categorie territoriali dopo 8 anni di distacco
chi ha ancora il lavoro deve tornare in produzione.
Questa regola generale potrebbe e dovrebbe
riguardare anche tutta la CGIL, ma “Roma
non è stata fatta in un sol giorno” e
ben sappiamo quali interessi, anche personali,
andiamo a toccare con una simile proposta in
considerazione che le rendite burocratiche
di posizione sono, obiettivamente, molto bel
piantate all’interno della nostra organizzazione,
per cui già partire dalle categorie è da
considerarsi un inizio credibile. Altra questione
importante alla quale mettere mano è l'abolizione
dei contributi figurativi che si configurano
come un privilegio nei confronti delle lavoratrici
e dei lavoratori che rappresentiamo oltre,
naturalmente, a tutti gli altri sfruttati.
Queste scelte
sono tese alla rivitalizzazione militante della
CGIL per rilanciare le Camere del Lavoro nei
territori affinché accrescano la propria
funzione di punto di riferimento nei territori
dell’iniziativa sindacale basata sull’impegno
collettivo e non già sul “funzionariato” nel
suo sempre più insostenibile ruolo
ormai autoreferenziale. La CGIL ha bisogno
di tornare ad avere funzionari e non già amministratori,
perché in questi ultimi anni questi
due ruoli si sono alquanto confusi, con la
deriva burocratica del sindacalismo.
E’ quindi
necessario tornare ad avere funzionari il più possibile
saldati alle realtà produttive e territoriali,
sostenuti da un vasto tessuto militante di
compagne e compagni per far si che la CGIL
si definisca nelle sue scelte sempre più dal
basso e non dal vertice come sta accadendo
con sempre più frequenza e nel generale
disinteresse.
Partecipazione
e conflitto
Nella
traccia proposta alla discussione si sviluppa
una narrazione dei quattro anni che ci dividono
dal XVII° Congresso
di una CGIL protagonista di iniziative, di
conflitto, di proposte e analisi per l'affermazione
dei diritti dei lavoratori.
Una narrazione
che non trova alcun riscontro nel mondo del
lavoro. I segnali sono evidenti e preoccupanti.
Il sindacato sempre più viene posto
sullo stesso piano dei partiti e delle istituzioni,
dei quali non si riesce farne a meno ma nei
quali non si ripone alcune fiducia. La caduta
della solidarietà che con monotona ripetizione
viene addossata come colpa alle singole persone
paventando una sorta di mutazione genetica
, è il frutto della più assoluta
sfiducia nella capacità di tutela collettiva
dei sindacati, conseguenza dell'assenza in
questi anni di mobilitazioni vere, capaci di
arginare l'offensiva di smantellamento delle
norme sul lavoro che ha allontanato milioni
di lavoratori e lavoratrici dalla partecipazione
collettiva e dal conflitto. Ciò incrementa
paura, sconforto e egoismo sociale.
I pezzi persi
per strada sono innumerevoli e ripercorrerli
a ritroso richiederebbe troppo tempo e necessiterebbe
di una ricostruzione storica che non si limiti
agli ultimi anni, ma non possiamo non stigmatizzare
alcuni passaggi che bruciano ancora oggi. La “traccia” parla
di ferite ancora aperte riferendosi alla previdenza,
al jobs act e alla buona scuola, ma riteniamo
che non si possa dimenticare l'introduzione
dell'art. 8 della legge 138/2011, che consente
alla contrattazione aziendale di andare in
deroga non solo al CCNL ma alla stessa legge
- aprendo un profilo di anticostituzionalità -
e consegnando le lavoratrici e i lavoratori
allo strapotere delle imprese favorendo percorsi
di corporativismo aziendale; allo smantellamento
dell'articolo 18 che abolisce di fatto ogni
limite ai licenziamenti; alla cancellazione
dell'art. 13 dello “Statuto dei lavoratori” che
consente il demansionamento; alla abrogazione
dell'art. 4 dello del medesimo Statuto, consentendo
il controllo a distanza dei lavoratori. Aspetti
che “la traccia” non prende
nemmeno in esame e che nella quotidianità dei
posti di lavoro hanno rappresentato e rappresentano
i migliori strumenti per ricattare i lavoratori.
La situazione è allarmante,
non solo perché questo scenario si manifesta
in un generale contesto che vede i rapporti
di forza tra capitale e lavoro come assolutamente
sfavorevoli al sindacato, all’azione
sindacale e, soprattutto, alle lavoratrici,
ai lavoratori e alle classi sociali più deboli
e meno tutelate nel nostro paese, ma anche
perché i gruppi dirigenti confederali
dimostrano di procedere verso il consolidamento
delle loro scadenze interne che consistono,
in generale, nel rilanciare il ruolo concertativo
a scapito dell’azione unitaria di massa
e della partecipazione reale delle lavoratrici
e dei lavoratori alla gestione del sindacato,
sempre più caratterizzato dalla distanza
dai concreti problemi del lavoro.
Il nostro richiamo
alla concretezza non vuole di certo essere
propagandistico ma propositivo consapevoli,
come d’altronde siamo, delle difficoltà che
stiamo vivendo e di come queste si sviluppano
all’interno dei luoghi di lavoro, alimentando
i particolarismi e le tendenze corporative
che scoraggiano l’unità di classe
indebolendo la medesima azione sindacale.
Analizziamole,
allora, queste emergenze, senza la pretesa
di essere esaustivi, per iniziare un dibattito
in vista del prossimo XVIII congresso, proprio
per evitare che sia un congresso autoreferenziale
e quindi inutile così come lo è stato
il XVII, volto come è stato all’autoreferenziale
celebrazione dei gruppi dirigenti e che ha
contribuito a replicare le forme e le finalità di
un sindacato fragile e scarsamente rappresentativo
del lavoro e dell’intero assetto di classe
del nostro paese.
Salario
La lotta salariale
non ha assolutamente perso la sua importanza
che anzi è andata ad accrescersi nel
tempo.
La differenza
tra ieri e oggi consiste nel fatto che la polverizzazione
di classe, conseguente ai giganteschi processi
di ristrutturazione del modello capitalistico
di produzione, del mercato del lavoro e della
sua organizzazione realizzati su scala internazionale
in questi ultimi decenni, ha aumentato a dismisura
le disuguaglianze sociali rendendo prioritaria
una vertenza salariale la quale però,
per essere vincente, dovrà essere inevitabilmente
generale e non condotta per categorie così come
si va prefigurando da parte del sindacalismo
confederale e della CGIL, evidentemente per
meglio poter controllare il movimento proprio
perché una vertenza generale è sempre,
per sua natura, sovvertitrice dell’ordine
esistente soggetta com’è a sfuggire
di mano.
Così è che
non si lavora per una vertenza generale sul
salario ma si opera categoria per categoria
facendo leva sul rinnovo dei contratti collettivi
nazionali di lavoro che non hanno alcuna piattaforma
comune e con richieste di aumenti salariali
che non ricuperano l'enorme trasferimento di
reddito dal lavoro ai profitti che si è determinato
negli ultimi decenni. La riaffermazione del
Contratto Nazionale, così come è avvenuto
nei comparti dei lavoratori pubblici non può di
per se essere acquisito come una grande conquista
allorchè il blocco contrattulale per
ben otto anni avrebbe dovuto spingere i sindacati
a porre obiettivi ben più ambiziosi.
L'insufficienza
dell'azione sindacale nei settori pubblici è così confermata
dall'assenza di qualsiasi mobilitazione nel
settore e dal fatto che non si sia speso neppure
un'ora di sciopero.
Per il salario è urgente
iniziare a definire obiettivi comuni per tutti
i settori lavorativi sia pubblici che privati,
per i disoccupati e per gli inoccupati, per
i precari e per i pensionati.
Un ampio ventaglio
sociale e di classe che, per le inevitabili
contraddizioni che esprime, ha fino ad oggi
riscontrato il sostanziale disinteresse del
sindacalismo confederale e sorpreso la CGIL
in una condizione di fragilità e di
impreparazione ad accoglierlo e rappresentarlo,
ma che deve essere riunito con un’azione
sindacale capillare e inclusiva, capace di
ridare ai salari il potere di acquisto che
hanno perduto.
Ha infatti poco
senso continuare a declinare che questa o quella
categoria è la meno pagata d’Europa
e via discorrendo, evitando di far emergere
che in Italia esiste un’emergenza salariale
diffusa, sia nel privato che nel pubblico,
e che esistono livelli di disparità salariale
interni alle categorie e tra categorie diverse
che devono essere assolutamente sanate. Non
basta quindi declinare la sia pure condivisibile
richiesta di “forti aumenti salariali”, se
non si definisce e si quantifica un equo modello
redistributivo che rilanci l’egualitarismo
e la solidarietà di classe.
Disoccupazione
e Precariato: Riduzione dell'orario di lavoro
"La
matrice unica del precariato l'ha costruita
il Parlamento per ridurre i costi contrattuali.
In questo noi Cgil abbiamo commesso un grave
errore: abbiamo pensato che questa (del precariato,
ndr) sarebbe rimasta un'area ridotta. Nel
2007 avevamo fatto un accordo con Prodi che
non si è realizzato. E nel frattempo è scoppiato
il fenomeno di finto lavoro autonomo".
E’ con
questa dichiarazione (Ballarò RAI 3)
che nel 2014 la compagna Susanna Camusso si
espresse a proposito delle responsabilità del
sindacato rispetto al proliferare del lavoro
precario.
La dichiarazione è certamente
onesta ma alquanto tardiva e superficiale,
avara di autocritica com’è. E’ infatti
giunta circa 17 anni dopo alla Legge 24 giugno
1997 n. 196 meglio nota come “Pacchetto
Treu” (Tiziano Treu era allora ministro
del lavoro del governo Prodi), che
non riscontrò l’opposizione della
CGIL la quale, alla sua successiva attuazione
non può quindi dirsi estranea.
Rinviando le
dietrologie, che pure sarebbe importante ripercorrere
per dare corpo teorico e strategico agli “errori” di
un certo sindacalismo che enuncia riforme che
poi non si realizzano presentando il conto
a distanza di anni, c’è da dire
che il precariato, in quanto prospettiva strategica
della nuova organizzazione capitalistica del
lavoro, necessita di una strategia di attacco
la quale, per essere vincente, non potrà che
riproporre la riduzione dell’orario di
lavoro a parità di salario. Una formula
semplice e chiara, di facile comprensione e
forse proprio per questo non trova spazio nella “traccia”, dove
la riduzione dell'orario viene articolata più in
prospettiva della flessibiltà che in
un potente mezzo per rilanciare l'occupazione
e liberare tempo dei lavoratori dal comando
dell'impresa.
Una tendenza
storica questa del movimento operaio e sindacale
internazionale che la CGIL deve ripercorrere
con chiarezza e entusiasmo, affermando che
la riduzione dell’orario di lavoro favorisce
l’occupazione, al di là di quello
che vanno sostenendo i “bocconiani”, saldando
i bisogni delle lavoratrici, dei lavoratori,
delle pensionate e dei pensionati con quelli
delle future generazioni, della disoccupazione,
del precariato e di tutti gli strati più deboli
della società, verso un comune interesse
sociale.
Pensioni
La CGIL non si è a
suo tempo opposta alla “Legge Fornero” ed
oggi muoversi contro quella legge è sicuramente
più difficile, anche in considerazione
del clima di sfiducia che quella mancata opposizione
ha generato e che ha notevolmente indebolito
la capacità negoziale del sindacato
e la sua credibilità. Al riguardo segnaliamo
che i risultati della trattativa con il governo
sono irrilevanti, condotti come sono alla stregua
di un confronto tra burocrazie, scisse da un
rapporto con la reale condizione di impoverimento
e di frattura che la “Legge Fornero” ha
creato tra le lavoratrici, i lavoratori e le
future generazioni. Il documento coglie nelle
pensioni “un vero e proprio
punto di rottura nel Paese...”, ma
anche in questo caso non si rivendica con nettezza
l'abrogazione della Fornero. Al rigurdo
le recenti dichiarazioni della segretaria generale
della CGIL in materia sul “superamento
della legge Fornero”, che evidentemente
derivano dal recentissimo studio di Cgil e
Fondazione Di Vittorio “I sistemi
previdenziali in Europa”, costituiscono
un progresso sia pure tardivo, in quanto l'assenza
di una prospettiva chiara di superamento della
Fornero sta indebolendo l’intero movimento
sindacale e screditando la CGIL: su questo
il congresso deve esprimere una posizione inequivoca,
chiedendo il superamento di questa legge e
il ripristino delle quote di 40 anni di contributi
e 60 anni di età.
Si dirà che
questo è un obiettivo “massimalista”:
ma l’opposizione a una legge profondamente
ingiusta doveva essere effettuata al tempo
e al luogo e siccome, all’epoca, nulla
di significativo si fece e quella legge è passò con
un sostanziale avvallo anche del gruppo dirigente
della CGIL, questi non può sottrarsi
alle conseguenze negative del suo medesimo
operare condannando chi, invece, vuole contenere
i danni.
Aggiungiamo
che se si fossero chiamati i lavoratori alla
lotta, se la CGIL si fosse materialmente opposta
a quella legge, oggi ripartire sarebbe certamente
più semplice.
Consapevoli
delle difficoltà crediamo che per riparare
a un grave danno è necessario un obiettivo
unitario capace di saldare gli interessi delle
generazioni e questo obiettivo non può che
essere, lo ripetiamo, l’abolizione integrale
della Legge Fornero.
Una
piattaforma per una grande vertenza unitaria
Salario, riduzione
orario di lavoro, pensioni. Questi sono gli
obiettivi da articolare in una piattaforma
per preparare una grande vertenza unitaria
che nel corso della lotta divenga sempre più inclusiva,
dove gli aumenti salariali intendano redistribuire
la ricchezza sociale prodotta in termini più equi
e a vantaggio dei redditi più bassi;
dove la riduzione dell’orario di lavoro
a parità di salario, favorendo l’occupazione,
sia in grado di saldare i bisogni delle lavoratrici,
dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati
con quelli delle future generazioni caratterizzate
da prospettive strutturali di disoccupazione
e di precariato e di tutti i settori più deboli
della società verso un comune interesse
sociale; infine le pensioni possono ricomporre
l’unità di classe con obiettivi
appropriati, capaci di includere e coinvolgere
i giovani e gli immigrati, progressivamente
sanando la frattura generazionale che le regie
padronali artatamente alimentano.
Nella elaborazione
delle piattaforme è necessario essere
concreti per essere credibili rispetto a chi
intendiamo rappresentare: ed è questo
un aspetto sul quale il XVIII congresso della
CGIL dovrebbe riflettere per trovare risposte
all’altezza delle necessità, risposte
che sono tutt’altro che semplici e scontate.
Cosa è,
allora la concretezza? La concretezza non può ritenersi
sinonimo “del possibile” e
ridotta a una mera operazione di bilancio così come,
obiettivamente, il gruppo dirigente della CGIL
semplicisticamente ha ripetutamente dato prova
di ritenere.
In pratica:
concretezza non significa individuare le risorse
prima per procedere alle richieste poi: il
che presuppone, inevitabilmente, la compatibilità delle
richieste con le risorse disponibili.
Così fanno
i ragionieri i quali, con il dovuto rispetto
per la categoria, non dovrebbero gestire un’organizzazione
dei lavoratori.
La concretezza
non è “compatibilità” e
già entriamo in un ambito sindacalmente
più consono: la concretezza non è,
quindi, quel realizzare “gli interessi
del paese” che corrisponde ad assumere,
nell’ineludibile rapporto di forza con
il capitale, la difesa degli interessi dell’imperialismo
italiano per cui si ritiene di finanziare il
rilancio dell’economia con la ricchezza
prodotta dal lavoro, senza che a questi giunga
nulla o pressoché, così com’è avvenuto
dalla svolta dell’EUR del 1978 e con
le successive “politica dei redditi”.
Questa non è concretezza
ma subalternità a un quadro economico
e politico irriformabile nei suoi aspetti fondanti,
che rende un sindacato dipendente dal quadro
economico e politico, se questi non si attrezza
per resistergli. Su questo deve riflettere
il nostro XVIII congresso.
Ma la domanda
non può rimanere elusa. Cosa è la
concretezza di una organizzazione sindacale
di massa qual è la CGIL?
E’ costruire,
giorno per giorno, a partire dai luoghi di
lavoro e dai territori quell’unità della
nostra classe sociale attorno alla difesa dei
bisogni delle classi subalterne.
Non si può continuare
a ritenere che l’equità fiscale
o che gli investimenti pubblici finalizzati
al comune interesse e non agli interessi particolari
ed ai profitti, siano obiettivi suscettibili
di essere raggiunti senza sacrifici, quando
questi sacrifici si chiamano lotte.
Concretezza
significa allora il riappropriarsi della dimensione
conflittuale, l’unica in grado di svolgere
quell’azione sovvertitrice degli intenti
del padronato e del governo: chiamando alla
mobilitazione unitaria su obiettivi quali salario,
riduzione dell’orario di lavoro a parità di
salario e pensioni, si compie una operazione
agitatoria tesa a creare un movimento reale
capace di incidere sui rapporti di forza di
forza tra capitale e lavoro, individuando le
risorse per il raggiungimento degli obbiettivi
preposti. La storia della nostra classe dimostra
che il percorso inverso è perdente:
partendo da obiettivi compatibili si rafforza
lo schieramento padronale e governativo, gli
obiettivi a difesa degli interessi delle classi
subalterne sfumano e il sindacato si discredita
e si indebolisce.
Il
contesto internazionale e il ruolo della
CGIL
Gli eventi che
caratterizzano il contesto internazionale ruotano
intorno a aspetti fondamentali che si riflettono
nelle vicende che pesano sulle condizioni di
vita delle lavoratrici e dei lavoratori italiani.
La brutale aggressione alla
Siria da parte degli USA, Inghilterra e Francia
rilancia la competizione tra potenze in uno
scacchiere energetico cruciale per l’imperialismo,
che non si cura di replicare la morte e la
fame alla popolazione civile, incrementando
nuovi e drammatici esodi. Il tutto nel più totale
silenzio dell’ONU, che sempre più dimostra
la propria subalternità alla strategia
militare NATO.
Eppure proprio l’esempio
di cantoni autonomi curdi è la dimostrazione
che la democrazia la costruiscono le donne
e gli uomini liberi, non le bombe lanciate
dagli Stati.
La fine del conflitto in
Siria passa per la ricostruzione, per l’apertura
di canali umanitari, per la presenza delle
ONG, per la costruzione della democrazia. Per
la difesa dell’autonomia delle zone curde
e del loro modello di inclusione sociale e
politico di democrazia di base, laica e pluralista.
E’ a difendere questa
esperienza, a costruire una mobilitazione nazionale
e internazionale antimilitarista, contro le
politiche di guerra, contro le spese militari,
per l’uscita dalla NATO che è chiamata
la CGIL.
Le migrazioni,
le politiche economiche definite a livello
europeo, i venti di guerra.
Rispetto a queste
emergenze il richiamo alla libera circolazione,
alla solidarietà, all'accoglenza, all'idea
di una Europa sociale e al rispetto dei diritti
umani, non basta. Buoni propositi che non aiutano
a comprendere quali sono i meccanismi che generano
crisi economiche, povertà, guerre, migrazioni.
L'assunzione, come base valoriale, del contesto
economico e sociale in cui agiamo schiera di
fatto i lavoratori a fianco del imperialismo
italiano ed europeo: da qui nasce il richiamo
alla difesa del Made in Italy e all'ipotesi
degli Eurobond.
Non riconoscere
il comune interesse dei lavoratori al di là della
fittizia divisione degli Stati fa sì che
ancora una volta quando si parla del sindacato
europeo non si va oltre ad una semplice evocazione
di principio, come avviene oramai da decenni.
Sulla necessità di
rilanciare l'internazionalismo, recuperando
lo spirito della I° Internazionale, la
Cgil dovrebbe con questo congresso andare oltre
alla richiesta di “parziali cessioni
di sovranità da parte dei sindacati
nazionali” e farsi promotrice di
una forte iniziativa coinvolgendo tutti i sindacati
dell'unione europea compresi quelli non aderenti
alla CES, ma anche i sindacati del bacino del
mediterraneo, nella prospettiva di una riunione
internazionale di tutte le organizzazioni sindacali
mondiali. Una necessità ancora più urgente
oggi quando i focolai di guerra divampano in
tante parti del globo in una contesa per l'egemonia
delle fonti energetiche, una contesa che riguarda
i nuovi assetti imperialistici che generano
enormi profitti per il capitale e milioni di
morti tra i lavoratori.
I comunisti
anarchici ieri come oggi lavorano per l'unità dei
lavoratori, per un sindacato autonomo dallo
Stato, dalle istituzioni, dai partiti, per
un sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori,
contro il funzionariato e la burocrazia, per
un sindacato che abbia chiara l'inconciliabilità di
interessi tra, capitale e lavoro, per un sindacato
che trova le soluzioni nella determinazione
del conflitto.
Difesa Sindacale
Francia:
colpire i ferrovieri per colpire tutto il
mondo del lavoro
Lunedi
26 febbraio il primo ministro francese Edouard
Philippe ha annunciato che entro l’estate
sarà portata
a termine la riforma dei servizi pubblici
che prevede tra le altre cose la fine dello
Statuto dei Ferrovieri per tutti i nuovi
assunti dall’azienda.
Con l’ottica di dividere il mondo sindacale
e del lavoro, il primo ministro ha aggiunto
che lo Statuto resterà in
vigore fino ad esaurimento dei lavoratori
adesso in servizio.
Come
risposta la C.G.T, il sindacato più rappresentativo
della categoria, ha proclamato
un mese di scioperi. Difficile prevedere
al momento gli sviluppi di questa mobilitazione,
ma oltre al settore delle ferrovie, sono
entrati in occupazione anche alcuni licei
e alcune università, perché anche
il settore dell’educazione sarà interessato
a varie riforme specifiche. La mobilitazione
di un mese ha fatto subito pensare a quello
che Alain Touraine chiamò “Il
gran rifiuto”, cioè alle mobilitazioni
del 1995, che bloccarono la Francia all’indomani
dell’elezione di Jacques Chirac. Quelle
mobilitazioni partirono dalle fabbriche Renault
e si estesero a tutto il sistema pubblico
(ferrovieri, telegrafici, educazione nazionale
e poste). Per comprenderne la portata è sufficiente
dire che dal 24 novembre 1995 al 15 dicembre
1995 ci furono sei volte di più scioperi
rispetto al periodo 1982-1994.
Il 22 Marzo 2018
a Parigi sono sfilati 50 mila manifestanti
(dati del sindacato) e nelle strade hanno sfilato:
ferrovieri, ospedalieri, professori. L’adesione
nelle scuole è stata massiccia. In tutta
la Francia le manifestazioni hanno visto sfilare
500 mila manifestanti secondo i dati del sindacato,
la metà per la polizia. In numerose
città ci sono state situazioni molto
tese con le forze dell’ordine.
Il
movimento ha creato numerosi disagi anche
per il voli aerei per la Francia. Occorre
sottolineare che questa è la prima
seria mobilitazione all’indomani degli
attentati che hanno scosso la Francia in
questi tre anni, con più di 400 morti,
con un piano “vigipirate” che
ha sospeso numerose libertà costituzionali,
con un clima di controllo sociale molto alto
da parte dello Stato. In
nome di una emergenza terroristica si sospendono
le libertà costituzionali. La polizia
può fare irruzione nelle case senza
mandato del giudice, ci possono essere degli
arresti e degli interrogatori fatti fuori
dal codice costituzionale ordinario, la reintroduzione
di un filtro in ingresso in Francia alle
frontiere, controlli passaporti e registrazione
degli ingressi, pattugliamento dell'esercito
nelle strade, presenza dell'esercito in borghese.
Mercoledì 4
aprile, un’assemblea dei ferrovieri alla
stazione Saint-Charles di Marsiglia ha visto
la partecipazione di 600 lavoratori. E per
metà aprile si prevedono due nuove
grandi mobilitazioni contro Macron. Lo scontro
sembra vivere di due livelli separati. Quello
che succede nella vita reale, fatto di assemblee,
discussioni e partecipazione. E quello che
avviene in tv e sui social net. dove invece
si tende a colpevolizzare i “benefit” di
cui godrebbero i ferrovieri per discreditarne
la mobilitazione.
Qual è il
tema della contesa?
Lo
statuto dei ferrovieri fu conquistato nel
1920 dopo una stagione di lotte molto intense.
In esso sono stabiliti una serie di diritti
che compensano la durezza di un lavoro fatto
di turni, flessibilità e
disagi, determinati dalla natura stessa del
lavoro, dal fatto cioè di garantire
la circolazione su rotaia 24 ore su 24 e
7 giorni su 7.
Nello statuto sono
individuati diritti per tutto il personale
interessato: conducenti, controllori, quadri
e personale impiegato nella formazione.
I
punti qualificanti dello Statuto sono:
«assunzione
a vita»:
i lavoratori SNCF sono immuni da licenziamenti
di tipo economico.
28
giorni di ferie pagate, cioè un giorno
in più rispetto ai giorni stabiliti
nel «Code
du travail».
A compensazione
della turnazione, i ferrovieri beneficiano
di giorni di riduzione del tempo di lavoro
quando superano le 7 ore giornaliere o le 35
h settimanali.
Il
salario lordo medio di un SNCF (dato 2014) è di
3090 euro, il dato medio del salario francese
pro capite è di 2913 euro lordi. Se
pero’ andiamo
a vedere meglio in dettaglio la scala salariale,
il 60% dei ferrovieri ha un salario netto
intorno ai 1500 euro, e quello di partenza è di
1200 euro netti.
«Pensione»:
fino al 2016 i ferrovieri potevano andare
in pensione prima degli altri lavoratori,
in virtù del loro lavoro usurante.
A 50 anni i conducenti, a 55 anni gli altri
SNCF. Sarkozy ha fatto una prima riforma
e ha imposto 52 anni e 57 anni, da attuare
progressivamente entro il 2024, con un sistema
di penalizzazioni economiche in uscita che
spesso obbliga i ferrovieri a ritardare l’uscita
per non perdere troppi soldi sull’assegno
pensionistico. I ferrovieri, a differenza
delle altre categorie che hanno un assegno
calcolato sugli ultimi 25 anni, hanno un
assegno calcolato sugli ultimi 6 mesi di
retribuzione. A titolo di comparazione, in
Francia si va in pensione a 62 anni di età,
nel settore privato, per chi è nato
dopo il 1955.
"Pass
Carmillon" , «Biglietti
gratuiti o con forti riduzioni»:
ferrovieri in attività e
loro famiglie, e ferrovieri in pensioni hanno
diritto a biglietti gratuiti o a biglietti
con forti riduzioni sulle tratte. (Il congiunto
e i figli del ferroviere in attività,
hanno diritto a comprare i biglieti al costo
del 10x100, più 16 biglietti gratuiti
l’anno; i
genitori e i suoceri hanno diritto a 4 biglietti
gratuiti l’anno),«affitti
concordati» diverse migliaia di case
di proprietà SNCF
sono date in affitto concordato ai ferrovieri.
Per
beneficiare dello Statuto un lavoratore deve:
essere
assunto entro i 30 anni;
essere
francese o di paese aderente U.E;
essere
incensurato;
superare un lungo
periodo di prova (2 anni e mezzo per i quadri).
Se non ci sono
queste condizioni la SNCF assume con contratto
nazionale a tempo indeterminato (CDI), che
non prevede i benefit dello Statuto.
Dei
150 mila ferrovieri francesi, il 75% beneficia
dello statuto, il 25% è assunto
con CDI. (Dato SNCF; secondo relazione contenuta
nel rapporto Spinetta, la percentuale sarebbe
92% Statuto, 8% CDI)
La proposta del
governo è quella di eliminare progressivamente
le assunzioni a Statuto sostituendoli con contratti
CDI o di altra natura.
Macron è giunto
al potere promettendo una lotta feroce ai
privilegi.
Con
la liberalizzazione dei servizi attacca
conquiste importanti della classe operaia,
facendo passare per privilegi, elementi
di eguaglianza sociale ottenuti con durissime
lotte nel ‘900.
Lo
fa in maniera abile e spregiudicata, creando
nell’opinione
pubblica il nemico della porta accanto, dividendo
il ferroviere da altre tipologie di lavoro
meno tutelate; con la scusa di razionalizzare
lo Stato e di essere l’uomo
che cambierà la
Francia, abolendo i privilegi dei politici,
sta liberalizzando in modo definitivo il
sistema dei trasporti e dei servizi;
là dove
non era riuscito neanche Sarkozy.
Da Parigi
L.P.
Un po'
di storia
Nel
1884, la legge Waldeck-Rousseau autorizza
la costituzione dei sindacati. Le prime organizzazione
dei ferrovieri nascono in ordine sparso.
Tra il 1884 e il 1901 ci saranno 4 organizzazioni
sindacali corporative nel settore. Tra essi,
l’organizzazione più forte è il Syndicat
national des chemins de fer;
con i suoi 50 mila aderenti, nel 1886, aderisce
alla CGT e ne diventa il sindacato più rappresentativo,
superando come numero di iscritti anche il
sindacato che organizza i metallurgici.
Il primo grande
sciopero organizzato dal sindacato dei ferrovieri
data 1910. Il tema è la rivendicazione
di aumenti salariali. Lo sciopero passerà alla
storia come “la grève de la thune” (lo
sciopero della thune, che all’epoca indicava
5 franchi; l’aumento richiesto come rivendicazione).
La mobilitazione è fortissima
ma finisce in una dura sconfitta per il movimento
sindacale, con 3 mila ferrovieri licenziati.
L’anno successivo, nel 1911 i ferrovieri
riescono a ottenere un nuovo contratto con
aumenti salariali e con una prima regolamentazione
delle pensioni. La sconfitta produce due linee
politiche differenti, una riformista e l’altra
rivoluzionaria, congelate con lo scoppio della
Prima Guerra Mondiale, dentro la politica dell’Union
Sacrée.
Il 27 gennaio 1917
in una sala della CGT (Confédération
Général du travail) 200 delegati
salariati delle compagnie private ferroviarie,
danno vita alla “Fédération
nazionale des travailleurs des chemins de fer” francese,
delle colonie e dei protettorati. Con i suoi
65 mila aderenti è il sindacato che
rappresenta un terzo dell’intera forza
sindacale della CGT.
Le correnti rivoluzionarie
prendono il sopravvento, tra esse emerge la
figura di Pierre Semard, un sindacalista rivoluzionario
che nel 1921 firmerà la mozione Mayoux
ostile al controllo del partito sul sindacato
e che nel 1924 diventerà segretario
del PC francese con posizioni critiche rispetto
all’Internazionale Comunista. Pierre
Semard sarà fucilato dai nazisti il
7 marzo del 1942 nella prigione di Evreux.
Nel 1917 quindi il sindacato dei ferrovieri
rompe con l’Union Sacrée e vota
una mozione nella quale si auspica “un’azione
energica di lotta di classe, come unica strategia
compatibile con il principio sindacale.” Il
movimento sindacale dei ferrovieri, fu fin
da subito, per forza organizzativa e per storia
dei suoi quadri dirigenti, alla testa del movimento
sindacale francese.
Nel
1920 viene conquistato lo Statuto del Ferroviere.
ESTENDERE
E GENERALIZZARE LO SCIOPERO – ALTERNATIVE
LIBERTARIE FRANCE
Fermare
la distruzione dei servizi pubblici, bloccare
l’offensiva liberale, liberarsi della
precarietà e della miseria è possibile.
Lo sciopero generale è l’unico
modo per vincere oggi e per riparare le sconfitte
degli anni passati. E per preparare un futuro
libero dalle regole del capitalismo.
E’ ora che è necessario
accelerare
È con le dimostrazioni
senza prospettive che abbiamo perso nel 2010,
2016 o 2017 nonostante le belle mobilitazioni. È con
lo sciopero esteso e rinnovabile che vinceremo.
Il capitalismo ha raggiunto uno stadio di ferocia
dove non sembra possibile negoziare più di
qualche briciola: allora ci prenderemo tutta
la torta! Il magnifico sforzo già compiuto
dai ferrovieri, il coraggio degli studenti
di fronte a una violenza della polizia senza
precedenti, la mobilitazione ad Air France,le
risucite giornate di lotta nel servizio pubblico
e in particolare nella sanità non possono
essere rovinati.
Lo sciopero rinnovato, votato
in assembea degli scioperanti, coordinato a
livello di filiale e locale, rimane il modo
più efficace per i lavoratori di mantenere
il controllo del loro sciopero. Le associazioni
inter-sindacali e interprofessionali nelle
città sono anche enti che consentono
l’estensione del movimento, la mutua
solidarietà, l’aiuto reciproco
tra gli impiegati in lotta. E poi tutti i gruppi
di utenti, i collettivi locali che nascono
e sostengono le mobilitazioni possono anche
portare un vantaggio a confortare gli scioperanti.
Gli attivisti di Alternative Libertaire non
trascureranno nessuno spazio utile per l’estensione
dello sciopero.
Lo sciopero rimane al centro
della sfida del capitalismo, fermando la produzione
e la circolazione dei beni, distruggendo la
speranza di apprezzamento da parte degli azionisti.
Ma sono anche possibili altre azioni per bloccare
il funzionamento della macchina e qui sono
disponibili anche gli attivisti della nostra
organizzazione.
Lo sciopero, scuola
di comunismo
La democrazia, nella costruzione
del movimento di sciopero generale e sovversione
sociale generalizzata, non è una cigliegina
sulla torta, messa lì per bellezza.
La vera democrazia, il controllo del movimento
da parte degli scioperanti stessi, il voto
in assembea regolare è la garanzia che
il movimento non è tradito da alcun “leader”.
Ma è anche l’esercizio pratico
della democrazia diretta che costruiamo nella
prospettiva di una società libera dalle
esigenze della proprietà privata dei
mezzi di produzione e del ritorno sul capitale.
Non stiamo solo lottando
per distribuire meglio la ricchezza, ma per
abolire la possibilità stessa che alcuni
accumulino profitti attraverso il lavoro degli
altri. Lo sciopero guidato dall’autoritarismo è la
scuola del socialismo autoritario. Lo sciopero,
animato da tutti, è la scuola del comunismo
autogestito.
http://www.alternativelibertaire.org/?Etendre-et-generaliser-la-greve
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