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LA COMPONENTE ANARCHICA NELLA
CONFEDERAZIONE GENERALE ITALIANA
DEL LAVORO (1944 - 1960)

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Comunisti Anarchici e Libertari in CGIL n. 36 Giugno 2016

Le tendenze autoritarie del sindacalismo

 

“….La CGIL considera incompatibile con l’appartenenza alla Confederazione iniziative di singoli o di gruppi, i quali, mentre ribadiscono la loro adesione formale alla CGIL, promuovono la costituzione di organizzazioni parasindacali, in competizione con la rappresentatività generale alla quale tende la CGIL, ovvero promuovono azioni organizzate che, di fronte alle controparti del sindacato, rompono l’unità della CGIL come soggetto contrattuale. L’adesione alla CGIL è incompatibile con l’appartenenza ad altre associazioni, comunque denominate, che perseguano obiettivi e svolgano ruoli e funzioni sindacali, mentre non lo è con associazioni professionali che non svolgano tale ruolo, ovvero per le quali i Comitati Direttivi delle Federazioni o Sindacati nazionali prevedano espressamente la doppia affiliazione e vengano definiti patti di unità d’azione e/o convenzioni per regolare, nella salvaguardia della reciproca autonomia, le modalità di partecipazione alle diverse fasi negoziali….”

Statuto della CGIL art. 7 (estratto)

Questi sono i contenuti dello statuto della CGIL in base al quale 16 tra compagne e compagni iscritti, delegati, RSA e dirigenti FIOM dell’FCA di Termoli, Melfi e Savel di Atessa sono stati dichiarati “incompatibili” e esclusi dai ruoli di rappresentanza.

Conseguentemente a questi provvedimenti la segreteria FIOM ha revocato l’aspettativa sindacale al compagno Sergio Bellavita, dirigente FIOM e portavoce dell’area programmatica “Il sindacato è un’altra cosa”.

I fatti risalgono alla costituzione di un “Coordinamento dei lavoratori Fca (ex FIAT) del Centro Sud” d’intesa con altre sigle sindacali (USB, Slai Cobas, FLMU-CUB) per “riunire i lavoratori/ici marciando uniti contro le divisioni promosse... condividendo iniziative di lotta e conflitto”.

Questa scelta non è stata condivisa dai vertici FIOM che hanno identificato il Coordinamento come “un nuovo soggetto di natura parasindacale in competizione con la stessa CGIL” dando seguito ai provvedimenti.

Non entriamo nel merito della vicenda proprio per evitare tutte quelle dietrologie che si celano inevitabilmente dietro ai conflitti tra maggioranze e minoranze interne all’organizzazione ma su questi provvedimenti, che avrebbero portato alle recenti dimissioni dalla CGIL del compagno Sergio Bellavita, delle compagne Maria Pia Zanni e Stefania Fantauzzi già esponenti dell’area programmatica “Il sindacato è un’altra cosa”, si è acceso un vivace dibattito più fuori che dentro alla CGIL la quale si è dimostrata alquanto omissiva al riguardo.

Questa vicenda si inquadra comunque nel progressivo cedimento del gruppo dirigente della CGIL alle tendenze neo corporative già assunte da CISL e UIL, nelle quali non vi è certo spazio per forme di dissenso.

Il ruolo della FIOM

Più articolato è il ruolo della FIOM, che non può essere liquidato perentoriamente proprio per la sua rinnovata e tenace opposizione intrapresa contro i piani del capitale.

Sulla FIOM pesano comunque le responsabilità per aver supportato, nel corso degli anni, le scelte più subalterne dei gruppi dirigenti confederali che hanno anteposto la difesa dell’interesse nazionale e dell’imperialismo italiano a quelli dei lavoratori, in cambio di una concertazione che prevedeva riforme che non si sarebbero mai realizzate.

Anche la salutare stagione già intrapresa fin dal 1994 dall’allora segretario generale della FIOM Claudio Sabattini e efficacemente replicata fino ai giorni nostri, è stata fortemente ipotecata dall’assenza di un’approfondita riflessione autocritica.

Non si è riflettuto sulle conseguenze di scelte subalterne che hanno oggettivamente contribuito a quel rafforzamento del padronato sul quale si è affermata l’attuale offensiva del capitale contro il salario, il contratto nazionale, la rappresentanza e le tutele; scelte incapaci di contrastare la progressiva cancellazione di storiche conquiste, l’affermarsi del precariato e la conseguente perdita di ruolo dell’organizzazione sindacale e del medesimo concetto di sindacato.

Questa generale omissione ha mantenuto sostanzialmente intatta quell’intolleranza nei confronti di ogni dissenso di cui a suo tempo fece le spese, anche all’interno della FIOM, l’area programmatica “Lavoro e società”, per anni qualificatasi come l’unica reale e radicata opposizione interna alla CGIL.

Alle compagne e ai compagni colpiti da provvedimenti che rimandano ad antiche radici autoritarie del movimento sindacale evidentemente ancora ben piantate in CGIL, laddove i provvedimenti statutari tornano a sovrastare il confronto politico, va la nostra solidarietà di militanti sindacali, ma non saremmo obiettivi se evitassimo di riflettere sull’intera vicenda analizzandone i contesti.

I limiti dell'opposizione interna alla CGIL

Conosciamo bene la CGIL e le sue dinamiche di maggioranza e di opposizione. Pure conosciamo l’intolleranza che contraddistingue i gruppi dirigenti, talvolta impegnati a difendere il proprio ruolo burocratico e autoreferenziale a discapito di una democrazia sindacale volta a realizzare una reale partecipazione dei lavoratori alle scelte che riguardano il loro futuro.

Ma la CGIL rimane comunque un’organizzazione alla quale aderiscono oltre cinque milioni di lavoratori e di pensionati, e la riflessione o la polemica non devono rimanere blindate all’interno dei suoi gruppi dirigenti di maggioranza e di minoranza che siano, ma trovare un’interlocuzione più ampia tra gli iscritti e tra i lavoratori, i quali non sono stati un gran che coinvolti dai provvedimenti di esclusione: pare, anzi, che la cosa sia stata accolta con disinteresse così come, almeno in questa fase, poco sembrano interessare ai lavoratori le dinamiche maggioranza/minoranza che agitano i gruppi dirigenti dei sindacati confederali e non.

La storia dell’opposizione interna alla CGIL va ben oltre in qualità e radicamento al ruolo francamente modesto svolto in questi ultimi anni dalle attuali aree programmatiche.

Tra queste, l’area “il sindacato è un’altra cosa” ha finito per qualificarsi, suo malgrado e ben prima del XVII congresso con l’esperienza della “Rete 28 aprile”, alla stregua di una componente politica interna alla CGIL.

Ciò ha comportato un’evidente incapacità unitaria misurabile in termini di mancato radicamento tra i lavoratori, ed è proprio su questo che bisognerebbe riflettere.

Ma questa riflessione non c’è: ognuno recita a soggetto, per finalità evidentemente distanti dall’obiettivo da perseguire: l’unità degli sfruttati attorno alla difesa dei loro interessi immediati, quale unica risposta alla crisi e all’attacco del capitale contro il lavoro.

Così è che il gruppo dirigente della CGIL tenta di ovviare con il protagonismo referendario alla smobilitazione delle lotte; l’opposizione interna alla CGIL si rifiuta di valutare obiettivamente il proprio stato di crisi e di divisione, primo passo obbligato per la ripresa di un qualunque processo di ricostruzione e di ripresa; le forze del sindacalismo non confederale lanciano inascoltati perché, sindacalmente parlando, non è tanto importante il radicalismo dei metodi di lotta e degli obiettivi quanto la capacità di perseguire obiettivi concreti, sia pure minimi, in difesa delle condizioni materiali degli sfruttati, che è proprio quello che oggi non si realizza in nessun ambito del sindacalismo.

Il dato emergente da questa complessiva dimensione di sconfitta è costituito dal fatto che i lavoratori non procedono uniti nella difesa dei propri interessi, ma si dividono in una lotta di tutti contro tutti, secondo la logica capitalistica corrente.

E’ in questa cornice che deve essere letta l’intera vicenda delle estromissioni dalla FIOM di Termoli, e se da una parte è doveroso condannare questi provvedimenti per i motivi che abbiamo sottolineato è anche necessario ammettere, dall’altra, che tutto ciò accade anche in conseguenza della sconfitta non solo dell’area e “Il sindacato è un’altra cosa”, ma dell’intera opposizione interna alla CGIL che ha perso il suo radicamento tra i lavoratori faticosamente costruito in questi ultimi venticinque anni anche non cogliendo importanti opportunità di unificarsi e, quindi, non deve meravigliare se il gruppo dirigente della CGIL, in grave crisi di rappresentatività, finisce per dimostrarsi forte con i deboli.

A riprova di quanto affermiamo vi è la nostra esperienza maturata assieme a migliaia di compagne e compagni, che ha visto contrastare apertamente le scelte più subalterne dei gruppi dirigenti di maggioranza.

All’epoca proprio il radicamento dell’area programmatica “Lavoro e società” era la migliore garanzia per quella pratica del dissenso che si articolava non solo all’interno ma anche all’esterno dei gruppi dirigenti, cioè tra gli iscritti e tra i lavoratori, divenendo così difficilmente contrastabile.

Il sindacato di classe

Se il limite della opposizione storica in CGIL è stato il progressivo risolversi nella maggioranza fino all’esaurimento in essa della sua complessiva esperienza, l’errore de “Il sindacato è un’altra cosa” è stato quello tipico delle elites politiche che si ritirano a perseguire una pratica di denuncia dei comportamenti della maggioranza la quale, continuando comunque a riscuotere consenso tra i lavoratori, relega facilmente un dissenso complessivamente debole al ruolo di “grillo parlante”, in quanto tale facilmente isolabile come le estromissioni dalla FIOM dimostrano.

Questo giudizio potrà anche apparire ingeneroso perché, si potrà dire, non tiene conto dei livelli reali di mobilitazione per come si sono sviluppati, anche in autonomia, nella realtà e nelle sue espressioni variamente articolate nei territori, né dell’impegno di centinaia di compagne e compagni nelle lotte e nei movimenti sociali.

Di contro a queste legittime obiezioni opponiamo una nostra convinzione: l’autonomia di classe è un fenomeno imprevedibile che accompagna il movimento sindacale e l’intera opposizione sociale in tutte le sue articolazioni. Essa fa volentieri a meno delle volontà delle elites politiche e sindacali, proprio perché è un fenomeno fisiologico alla classe medesima che non è suscettibile di essere organizzato in forma stabile.

Molto più concretamente le spinte di autonomo protagonismi che tendono a unificare gli sfruttati devono essere recepite nella loro pratica estensione da un tessuto militante che aspiri a divenire egemone ed esso stesso maggioranza nell’organizzazione sindacale riformista.

Significa allora procedere alla creazione di un sindacato di classe?

Crediamo che un simile obiettivo, che poi è quello delle compagne e dei compagni che abbandonano la CGIL, non trovi spazio nella società capitalistica se non come dimensione minoritaria e, per quanto l’obiettivo del sindacato di classe appartenga alla storia del movimento operaio e sindacale, sappiamo anche che è più vicino al perseguimento dei suoi interessi storici piuttosto che a quelli immediati.

Quando, nel secolo scorso, i teorici anarchici insistevano sulla natura inevitabilmente riformista del sindacalismo intendevano evidenziare le caratteristiche dell’organizzazione sindacale che, condizionata dal perseguimento di obiettivi minimi, tende verso una pratica anche organizzativa destinata progressivamente ad allontanarsi da obiettivi di emancipazione sociale più qualificati.

Ecco perché l’obiettivo di un sindacato che persegua non solo gli interessi immediati ma anche quelli storici degli sfruttati è un obiettivo di riferimento, capace di correggere le deviazioni proprie della funzione inevitabilmente riformista del sindacato che intende interloquire anche con gli strati più arretrati degli sfruttati, proponendo e perseguendo obiettivi minimi.

Questo perché, alla fine, il sindacato di classe diviene un obiettivo eminentemente politico e in quanto tale difficilmente perseguibile nella pratica sindacale corrente.

E’ infatti impensabile che sulle pensioni, sul precariato o sulle scadenze contrattuali si possa ottenere una qualche unità tra i lavoratori qualificando il proprio ruolo di opposizione con un obiettivo inevitabilmente politico.

Così è che ci si riduce a svolgere attività di agitazione e di propaganda in quanto minoranze politicizzate, abbandonando la pratica sindacale unitaria rivolta a tutti gli sfruttati, come sta succedendo alle compagne e ai compagni che abbandonano la CGIL.


Abbandonare la CGIL?

Comprendiamo questa amarezza, che in innumerevoli circostanze è stata anche la nostra, ma la lotta contro la burocrazia non si esaurisce in un’unica e definitiva battaglia, ma costituisce piuttosto la tendenza di un’efficace opposizione sociale.

Alla nostra solidarietà alle compagne e ai compagni ingiustamente emarginati dalla FIOM e dalla CGIL non può che seguire la critica ad una opposizione talvolta condotta ai limiti del settarismo, che i lavoratori non hanno compreso proprio perché non generalizzabile a contesti più ampi, in quanto tale distante dalla loro materiale condizione di bisogno.

Alle compagne e ai compagni che abbandonano la CGIL ripetiamo che la crisi dell’egemonia sindacale riformista, le energie e le risorse che questa eventualmente libererà non troveranno un punto di riferimento nelle esperienze di un sindacalismo ancora più radicale, ma si disperderanno secondo le inesorabili logiche della sconfitta.

E’ tempo di analisi, di riflessioni profonde e di autocritica per riuscire a individuare gli errori, non solo quelli altrui ma anche quelli nostri, e stimare obiettivamente l’entità dei nuovi rapporti di forza tra capitale e lavoro, per costruire una nuova resistenza sociale basata su un’autentica pratica sindacale non avanguardistica, volta alla realizzazione di una nuova rappresenza capace di interloquire efficacemente con gli strati più disgregati e non rappresentati delle classi subalterne.

Un lento lavoro di ricostruzione quindi, che rifugga le scorciatoie volontaristiche, proprio perché la burocrazie sindacale è una categoria che deve essere analizzata con le stesse metodologie con le quali si analizza il capitalismo e, in quanto tale, non è suscettibile di essere aggirata con dichiarazioni di principio ma con l’opportuna declinazione tattica, perché la CGIL continua a rappresentare milioni di lavoratrici, di lavoratori e di pensionati e costituisce il terreno prioritario di azione e di agitazione per la militanza sindacale unitaria, per accrescere la consapevolezza dei suoi rappresentati e dei suoi militanti, sviluppando la partecipazione dei lavoratori così come l’opposizione interna alla CGIL è riuscita a realizzare nelle sue migliori stagioni.

C’è bisogno di uno sviluppo interno che, partendo da obiettivi minimi di difesa delle condizioni di vita degli sfruttati, inizi con pazienza e tenacia a riunire quel tessuto militante disperso per ricostruire su basi unitarie l’opposizione di classe interna alla CGIL.


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